La Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto opportuno pubblicare, alla fine del mese di ottobre, una nuova Istruzione intitolata “Ad resurgendum cum Christo”, circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione, allo scopo di ribadire le ragioni dottrinali e pastorali per la preferenza della sepoltura dei corpi e di emanare norme per quanto riguarda la conservazione delle ceneri.
Nel recente documento si sottolinea che “le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica.” Dal punto di vista ecclesiastico, non sono quindi consentite né le pratiche di affidamento delle ceneri (ovvero la loro conservazione presso un’ abitazione privata), né la dispersione delle ceneri in natura “per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista”.
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La posizione della Chiesa Cattolica nei confronti della cremazione ha subito nel secolo scorso una notevole evoluzione, ufficializzata nel 1963, anno in cui il Sant’Uffizio dichiarò che la cremazione dei defunti non è di per sé contraria alla religione cristiana e che non dovevano essere più negati i sacramenti e le esequie a coloro che desiderassero essere cremati, a condizione che tale scelta non fosse operata “come negazione dei dogmi cristiani”.
Il Codice di Diritto Canonico del 1983 ha definitivamente recepito questo mutamento, mentre la prassi della cremazione si è diffusa in un gran numero di Paesi. I dati ufficiali Istat relativi alle forme di sepoltura scelte in Italia, nel corso dell’anno 2014, indicano una percentuale media nazionale di cremazioni prossima al 20%, con un aumento del 6,5% rispetto al 2013. Il nostro Paese è dunque ancora ben lontano dalle elevatissime percentuali di cremazione che caratterizzano le realtà nordeuropee come Danimarca e Svezia (che superano l’80%), tuttavia diversi fattori hanno portato ad un trend in deciso aumento anche sul territorio nazionale, in particolare nel centro-nord Italia.
Anche gettando lo sguardo oltreoceano, il panorama è analogo: le richieste di cremazione hanno avuto un aumento costante nel corso dell’ ultimo decennio, come riportato recentemente da NFDA, la Federazione Americana degli Operatori Funebri.
A questo punto è opportuno, anzi direi doveroso da parte degli operatori del settore funebre, e non solo, domandarsi quali siano le cause di questo mutamento culturale. Tra i fattori che hanno favorito l’ incremento delle cremazioni in Italia si conta certamente la crisi economica, con la scelta di ricorrere alla cremazione perché ritenuta meno costosa rispetto ad altre forme di sepoltura. Una maggiore diffusione di impianti crematori sul territorio nazionale, oggi stimabili in circa una ottantina, ha certamente fornito maggiore impulso a questa opzione.
Non si tratta tuttavia, a nostro avviso, di una mera questione di risparmio di denaro. Come scrive Monsignor Pierangelo Sequeri su “Avvenire”: “Il gesto della sepoltura … porta in sé una potenza simbolica che è realmente insostituibile. Esso, intanto, ripete la mimica del grembo: della sua custodia e della sua cura. L’ultimo gesto d’amore, che ci congeda dalla vita, appare, con la sepoltura, in sintonia gestuale e affettiva con il primo, che ha protetto il nostro ingresso nel mondo. … Nella sepoltura e nell’assegnazione di un luogo alla figura del corpo mortale in cui abbiamo vissuto, noi esprimiamo nel modo più diretto la nostra convinzione di non avere vissuto come umani per finire nel niente.”
Probabilmente l’indebolimento di questa convinzione è un fattore ancor più radicale della crisi economica nell’orientare la scelta delle famiglie in una determinata direzione.